Tra sacro e profano
Nel Medioevo e anche nel Rinascimento
non esisteva un chiaro confine tra sacro e profano, così che l’uno
sconfinava facilmente nel dominio dell’altro. Era anzi piuttosto
diffusa la pratica del travestimento, consistente nel sostituire il
testo di una composizione profana con un testo sacro, mantenendo la
stessa melodia, cosa che da nessuno veniva considerata blasfema,
quantunque a noi, oggi, possa sembrare tale.
Comune era anche l’utilizzo di temi profani nelle grandi composizioni sacre, come le messe.
Una tradizione diffusasi nel 1400 con la scuola fiamminga voleva che i compositori, nel caso in cui volessero cimentarsi con la forma musicale più alta, cioè la messa, si servissero di temi musicali pre-esistenti. Questi potevano essere sacri come anche profani; per esempio, esistono circa trenta messe sul tema di una canzoncina popolare francese, “L'homme armè”.
Comune era anche l’utilizzo di temi profani nelle grandi composizioni sacre, come le messe.
Una tradizione diffusasi nel 1400 con la scuola fiamminga voleva che i compositori, nel caso in cui volessero cimentarsi con la forma musicale più alta, cioè la messa, si servissero di temi musicali pre-esistenti. Questi potevano essere sacri come anche profani; per esempio, esistono circa trenta messe sul tema di una canzoncina popolare francese, “L'homme armè”.
Secondo la concezione dell’epoca, ciò che determinava il valore di
un’opera non era, infatti, l’originalità o l’espressività, ma l’abilità
nel trattare le varie tecniche compositive. Si voleva dimostrare che a
partire da una banale melodia come quella de “L’homme armè”,
il compositore era capace di ricavare un’intera messa: era in questo
modo che egli dimostrava il proprio ingegno. L’umanesimo fu da taluni
definito come l’epoca dell’ostentatio ingenii e, invero, non vi potrebbe essere espressione più adatta.
Palestrina scrisse ben due messe su questo tema: la “Missa homme armè”, che si trova nel terzo libro delle messe, dedicato a Filippo II, e la “Missa quarta”, che si trova nel quarto libro e riprende anch'essa la medesima canzone popolare, anche se non è esplicitamente indicato nel titolo. Le parole, in questo caso, sono quelle dell’Ordinarium, ma paradossalmente può capitare di trovare, nel cantus, le parole del testo originario. È come dire che, mentre alto, contralto e bassi cantano l’Agnus Dei, la voce principale canta le parole di Matona mia cara! Davvero troppo per essere accettato, e non è difficile capire come questa consuetudine non potesse essere tollerata a lungo, quantunque la sfera del sacro e quella del profano all’epoca non fossero nettamente distinte. All’interno della Chiesa, infatti, incominciarono a levarsi voci di dissenso. Si riporta, a tal riguardo, uno stralcio di una lettera spedita al segretario del cardinale Ranuccio Farnese da tale Bernardino Cirillo, governatore della Santa Casa di Loreto:
Palestrina scrisse ben due messe su questo tema: la “Missa homme armè”, che si trova nel terzo libro delle messe, dedicato a Filippo II, e la “Missa quarta”, che si trova nel quarto libro e riprende anch'essa la medesima canzone popolare, anche se non è esplicitamente indicato nel titolo. Le parole, in questo caso, sono quelle dell’Ordinarium, ma paradossalmente può capitare di trovare, nel cantus, le parole del testo originario. È come dire che, mentre alto, contralto e bassi cantano l’Agnus Dei, la voce principale canta le parole di Matona mia cara! Davvero troppo per essere accettato, e non è difficile capire come questa consuetudine non potesse essere tollerata a lungo, quantunque la sfera del sacro e quella del profano all’epoca non fossero nettamente distinte. All’interno della Chiesa, infatti, incominciarono a levarsi voci di dissenso. Si riporta, a tal riguardo, uno stralcio di una lettera spedita al segretario del cardinale Ranuccio Farnese da tale Bernardino Cirillo, governatore della Santa Casa di Loreto:
“Dicono
alle volte: o che bella messa èstata cantata! E quale, per tua fè?
Risponde: o l’Ombre armato, o Hercules dux Ferrariae, o la
Filomena. E che ha da fare la messa con l’Uomo armato, col Duca di
Ferrara, con la Filomena?..... Io vorrei che quando si avesse a
cantare una messa in chiesa secondo la suggetta sostanza delle
parole, constasse la musica di certi concenti e numeri atti a movere
a religione e pietà gli affetti nostri, e così ne’ Salmi et Inni
et altre laude che si porgono a Dio… Hanno a questi tempi riposta
ogni industria e diligenza a far che un canto sia ben ligato in
fughe; e nel medesimo tempo uno di loro dice Sanctus, l’altro
Sabaoth, quell’altro Gloria Tua, con certi ululati, muggiti e
balati che alle volte rappresentano un genaro di gatti et un maggio
di tori, per non dir altrimenti, e sia detto tutto in buona pace.”
Non così facile, invece, è
ricostruire quale fosse la posizione ufficiale della Chiesa. Il
Concilio di Trento affrontò l’argomento in maniera piuttosto
evasiva: esiste un decreto, emesso nel 1562, in cui si legge che deve
essere bandito dalle composizioni sacre tutto ciò che è “lascivum
aut impurum” [lascivo o impuro]. Teoricamente nulla impediva ai
padri conciliari di scrivere esplicitamente che da quel momento era
vietato l’utilizzo di temi profani, in modo da scongiurare ogni
possibile dubbio di interpretazione; dobbiamo dedurre, quindi, che
volutamente essi evitarono di assumere una posizione precisa in
materia.
La pratica di utilizzare temi profani continuò così ancora a lungo dopo il Concilio di Trento, finché non si esaurì da sola. In qualche caso, tuttavia, i compositori evitavano di dichiarare apertamente l'origine del materiale da loro utilizzato, qualora si trattasse di composizioni o motivi profani: preferendo chiamare la loro opera genericamente “Missa sine nomine”, invece che indicare una precisa denominazione con riferimento al tema ispiratore.
La pratica di utilizzare temi profani continuò così ancora a lungo dopo il Concilio di Trento, finché non si esaurì da sola. In qualche caso, tuttavia, i compositori evitavano di dichiarare apertamente l'origine del materiale da loro utilizzato, qualora si trattasse di composizioni o motivi profani: preferendo chiamare la loro opera genericamente “Missa sine nomine”, invece che indicare una precisa denominazione con riferimento al tema ispiratore.