I canti carnascialeschi
Il “Trionfo di Bacco e Arianna” è
un tipico esempio di canto carnascialesco. Ma cosa si intende per
canto carnascialesco? Quali sono le caratteristiche di questa forma
musicale, e come è nata?
Come si può notare, questo pezzo presenta una scrittura omoritmica: è, questa, una caratteristica propria del canto carnascialesco.
Confrontate ora questo spartito con quello di “Chi la gagliarda”, che è un altro brano del nostro repertorio, ponendo particolare attenzione all’entrata delle voci.
Noterete che nel “Trionfo” tutte le voci attaccano simultaneamente, invece in “Chi la gagliarda” attaccano ciascuna su un tempo diverso della battuta.
Il simultaneo attacco di tutte le voci all’inizio della composizione e, spesso, di ogni frase, è per l'appunto un’altra caratteristica del canto carnascialesco, così come l’uso della corona sulle note finali e quello della pausa tra un periodo e l’altro. Tipico è anche l’utilizzo del tempo binario, sostituito da quello ternario alla fine del pezzo. Infine, non possiamo mancare di osservare, per quanto concerne l’aspetto armonico, che non vi sono modulazioni, per cui l’armonia risulta decisamente elementare e monotona. La melodia si muove in un ambito ristretto di intervalli, così da risultare piuttosto monotòna anch’essa.
“La musica carnascialesca”– dice Helm – “aveva un chiaro scopo declamatorio, non melodico, e il suo stile declamatorio ebbe importanti ripercussioni sulle successive composizioni madrigalistiche, nate anch’esse per essere eseguite all’aperto”.
Nulla ancora è stato detto, sino a qui, riguardo l’origine del canto carnascialesco, la quale è strettamente collegata alla figura di Lorenzo De Medici. Superfluo dire che l’usanza di festeggiare il Carnevale non è nata con Lorenzo De Medici: essa affonda le sue radici negli antichi “riti di passaggio” che accompagnavano il sopraggiungere della Primavera e la fine dell’Inverno. A costui si deve, tuttavia, l’introduzione di quelle sontuose messe in scena che sono i trionfi, i carri e le mascherate, a cui prendevano parte popolo e aristocrazia insieme. Proprio in queste circostanze nacque il cosiddetto “canto carnascialesco”. Occorre, in realtà, fare una distinzione tra canto carnascialesco vero e proprio e trionfi, carri, mascherate. I primi rappresentano e mettono alla berlina personaggi popolareschi come mendicanti, eremiti, vedove etc.,oppure categorie artigiane come intagliatori, muratori, bottai, farcitori d’olio; i secondi, invece, sono piuttosto componimenti mondani, nel genere pomposo e allegorico i trionfi e i carri, mentre sono di carattere aulico ed encomiastico le mascherate.
I più noti sono il “canto de berniquolai”, su testo di Lorenzo e musica di Henrich Isaac, con cui, tradizionalmente, si considera inizi il genere del canto carnascialesco, poi il “canto dei farcitori d’olio”, su musica di Alexander Agricola, il “canto de’ cialdonai”, intonato da anonimo, come anche il “canto delle rivenditore”. Ancora, si possono citare il “canto dei poveri che accettano la carità”, di anonimo su testo di Lorenzo, il “canto di uomini allegri e goditori”, di autore e musicista anonimi. A volte si ostentano doppi sensi, come nel “Canto delle donne che cacciano ai conigli”, di anonimo su testo di Guglielmo detto Guggiola.
Come trionfi, invece, si possono citare il “Trionfo delle tre Parche”, “Trionfo della dea Minerva”, “Trionfo delle quattro scienze matematiche”, etc. Questi che sono stati nominati sono tutti anonimi.
Sotto l’influsso di Savanarola, che dominò la vita politica fiorentina dalla morte di Lorenzo (1492) al 1498, anno in cui fu condannato al rogo, i divertimenti carnevaleschi caddero in disuso; processioni e penitenze ne presero il posto, e dal punto di vista musicale, il canto carnascialesco fu soppiantato dalla lauda religiosa. Risalente come origine al medioevo, ma presto messa da parte dai prepotenti interessi mondani del xv sec, la lauda conobbe un nuovo periodo di auge nella Firenze di Savonarola. La lauda religiosa è anche chiamata “lauda giustiniana”, da Leonardo Giustiniano, poeta fiorentino, autore di diversi testi spirituali.
Dopo la morte di Savanarola (1498), la festa del Carnevale fu ripristinata. Essa, tuttavia, non ebbe più la grandiosità e lo splendore che aveva ai tempi del Magnifico, anche a causa della diminuita partecipazione del popolo, ancora suggestionato dalle prediche del frate.
Come si può notare, questo pezzo presenta una scrittura omoritmica: è, questa, una caratteristica propria del canto carnascialesco.
Confrontate ora questo spartito con quello di “Chi la gagliarda”, che è un altro brano del nostro repertorio, ponendo particolare attenzione all’entrata delle voci.
Noterete che nel “Trionfo” tutte le voci attaccano simultaneamente, invece in “Chi la gagliarda” attaccano ciascuna su un tempo diverso della battuta.
Il simultaneo attacco di tutte le voci all’inizio della composizione e, spesso, di ogni frase, è per l'appunto un’altra caratteristica del canto carnascialesco, così come l’uso della corona sulle note finali e quello della pausa tra un periodo e l’altro. Tipico è anche l’utilizzo del tempo binario, sostituito da quello ternario alla fine del pezzo. Infine, non possiamo mancare di osservare, per quanto concerne l’aspetto armonico, che non vi sono modulazioni, per cui l’armonia risulta decisamente elementare e monotona. La melodia si muove in un ambito ristretto di intervalli, così da risultare piuttosto monotòna anch’essa.
“La musica carnascialesca”– dice Helm – “aveva un chiaro scopo declamatorio, non melodico, e il suo stile declamatorio ebbe importanti ripercussioni sulle successive composizioni madrigalistiche, nate anch’esse per essere eseguite all’aperto”.
Nulla ancora è stato detto, sino a qui, riguardo l’origine del canto carnascialesco, la quale è strettamente collegata alla figura di Lorenzo De Medici. Superfluo dire che l’usanza di festeggiare il Carnevale non è nata con Lorenzo De Medici: essa affonda le sue radici negli antichi “riti di passaggio” che accompagnavano il sopraggiungere della Primavera e la fine dell’Inverno. A costui si deve, tuttavia, l’introduzione di quelle sontuose messe in scena che sono i trionfi, i carri e le mascherate, a cui prendevano parte popolo e aristocrazia insieme. Proprio in queste circostanze nacque il cosiddetto “canto carnascialesco”. Occorre, in realtà, fare una distinzione tra canto carnascialesco vero e proprio e trionfi, carri, mascherate. I primi rappresentano e mettono alla berlina personaggi popolareschi come mendicanti, eremiti, vedove etc.,oppure categorie artigiane come intagliatori, muratori, bottai, farcitori d’olio; i secondi, invece, sono piuttosto componimenti mondani, nel genere pomposo e allegorico i trionfi e i carri, mentre sono di carattere aulico ed encomiastico le mascherate.
I più noti sono il “canto de berniquolai”, su testo di Lorenzo e musica di Henrich Isaac, con cui, tradizionalmente, si considera inizi il genere del canto carnascialesco, poi il “canto dei farcitori d’olio”, su musica di Alexander Agricola, il “canto de’ cialdonai”, intonato da anonimo, come anche il “canto delle rivenditore”. Ancora, si possono citare il “canto dei poveri che accettano la carità”, di anonimo su testo di Lorenzo, il “canto di uomini allegri e goditori”, di autore e musicista anonimi. A volte si ostentano doppi sensi, come nel “Canto delle donne che cacciano ai conigli”, di anonimo su testo di Guglielmo detto Guggiola.
Come trionfi, invece, si possono citare il “Trionfo delle tre Parche”, “Trionfo della dea Minerva”, “Trionfo delle quattro scienze matematiche”, etc. Questi che sono stati nominati sono tutti anonimi.
Sotto l’influsso di Savanarola, che dominò la vita politica fiorentina dalla morte di Lorenzo (1492) al 1498, anno in cui fu condannato al rogo, i divertimenti carnevaleschi caddero in disuso; processioni e penitenze ne presero il posto, e dal punto di vista musicale, il canto carnascialesco fu soppiantato dalla lauda religiosa. Risalente come origine al medioevo, ma presto messa da parte dai prepotenti interessi mondani del xv sec, la lauda conobbe un nuovo periodo di auge nella Firenze di Savonarola. La lauda religiosa è anche chiamata “lauda giustiniana”, da Leonardo Giustiniano, poeta fiorentino, autore di diversi testi spirituali.
Dopo la morte di Savanarola (1498), la festa del Carnevale fu ripristinata. Essa, tuttavia, non ebbe più la grandiosità e lo splendore che aveva ai tempi del Magnifico, anche a causa della diminuita partecipazione del popolo, ancora suggestionato dalle prediche del frate.